Dal click all’action

Anche Google rivede i suoi progetti di pubblicità online e sperimenta quest’estate un nuovo modello, basato sul raggiungimento del risultato. Ma la questione centrale riguarda l’esattezza dei dati.

Mentre la pubblicità online, lo scorso giugno, ha conosciuto un exploit di grandissimo rilievo (+58% di spesa rispetto a giugno 2005) grazie al traino dei mondiali di calcio, Google si è guardato attorno e ha deciso di lanciarsi in un nuovo modello di pubblicità online. Dal pay per click che sottosta al sistemaAdSense, il gigante di Mountain View ha deciso di sperimentare quest’estate un nuovo sistema basato sul pay per action. In pratica, gli editori saranno pagati non più sulla base dei click avvenuti sulle inserzioni pubblicitarie, ma sulla base delle action effettivamente compiute dai visitatori.

Che cosa sono le “action”
Per “action” si intende l’effettivo svolgimento dell’azione desiderata e spinta dalla campagna pubblicitaria. In primis, l’acquisto di un prodotto o servizio, ma non solo: una certa campagna può essere finalizzata all’acquisto, ma un’altra può essere finalizzata alla raccolta di dati sensibili, di iscrizioni al sito o di qualsiasi altra “azione”, appunto. A deciderlo è l’inserzionista. Il termine action è quello più diffuso e utilizzato – soprattutto in America – per definire queste azioni. Un suo sinonimo altrettanto usato è “conversion” o conversione, in italiano.

Oltre il Pay per click
La decisione di Google era per certi versi attesa. Il modello del pay per action non è nuovo, e anzi è predicato dai guru del marketing già da diversi anni. Grazie alla tracciabilità della transazione elettronica, Internet rende possibile capire non solo se una campagna conduce un utente verso un prodotto, ma addirittura se lo spinge a comprare o comunque a concludere l’azione desiderata. Il modello di pay per click messo in atto da Google era già stato al centro di diverse polemiche per le presunte frodi, cioè i click artificiosi messi in atto intenzionalmente allo scopo di gonfiare i risultati e quindi di far spendere più soldi agli inserzionisti. La controversia (anche legale) non è del tutto chiusa, ma è evidente che il motore di ricerca guardi con interesse a modelli diversi di business pubblicitario.

Non tutto è da buttare
Come ribadito più volte, però, la questione del pay per click non può essere ricondotta esclusivamente a una questione di frode o onestà del sistema stesso. La vera questione riguarda invece il controllo, che deve essere incrociato, sia da parte dell’inserzionista sia da parte del motore di ricerca, sia al limite da parte di una società terza. Infatti, in molti casi i vantaggi delle visite su un sito non sono immediatamente riscontrabili, e anche il pay per action può avere dei risvolti negativi, questa volta per gli editori. Infatti, la modalità d’acquisto online è spesso indiretta: un visitatore visita un sito alla ricerca di un prodotto o servizio, lo valuta, se ne va, effettua confronti e verifiche incrociate (online, su altri siti, ma anche offline in alcuni casi), e solo al termine di un processo decisionale medio o lungo si decide per l’acquisto. Il modello del pay per action risponde a una logica d’acquisto (o di risposta alla proposta) immediata, che non sempre si sposa con i tempi di decisione del cliente.

I modelli misti
Per questo il modello vincente in futuro sarà probabilmente quello di un mix tra i due sistemi. Da una parte, una percentuale sull’action vera e propria condotta dall’utente veicolato dalla pubblicità. Dall’altra, un valore prestabilito a priori per ogni visita fatta registrare dalla pubblicità. Anche perché si trascura l’aumento di valore che può avere un brand grazie alle visite indotte, anche quelle che non conducono all’action vera e propria.

Il busillis
Il vero busillis di tutta la questione, quindi, non è tanto quella del modello (per action o per click), piuttosto quella dell’esattezza dei conteggi e della veridicità delle statistiche. Soltanto sistemi di monitoraggio e statistiche Web indipendenti sono in grado di garantire una visione oggettiva della campagna pubblicitaria. E non si parla soltanto di efficacia o di “return” per l’inserzionista. La stessa agenzia pubblicitaria avrebbe tutto il vantaggio a capire la performance della propria campagna, aldilà della soddisfazione del cliente.

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