Lo shopping online alla conquista della Cina

L’Ecommerce Europe Reports ha analizzato i risultati dello shopping online nel modello orientale. Capire come funziona il mercato cinese può offrire nuove opportunità di business alle aziende italiane (e non solo).

La Cina è ufficialmente il maggiore mercato del mondo per l’e-commerce. Conta già un miliardo e 357 milioni di potenziali clienti, ha un commercio in rapidissima ascesa, rappresenta la nuova frontiera per il Made in Italy e sta vivendo l’euforia di un boom economico senza precedenti.

Esportare un ecommerce in terra cinese significa, prima di tutto, fare i conti con una realtà profondamente diversa dalla nostra. A partire da quella demografica naturalmente. Secondo la ricerca realizzata dalla Ecommerce Europe (Qui in allegato il report in versione integraleal momento solo il 51% della popolazione risulta collegata a Internet, con una predominanza di uomini (fascia d’età 20-29 anni). In un clima ultra-tecnologico, tra cybercaffè e ristoranti luminosi dotati di wi-fi, i grandi magazzini sembrano sempre più vuoti e alla ricerca di clienti, mentre il business online sembra diventato il modo più vantaggioso per fare acquisti in assoluto.

In Cina, tra gli articoli più venduti troviamo casalinghi, abbigliamento (con un incremento del 24,3% rispetto all’anno precedente) e calzature (con un fatturato di circa 51 milioni di dollari). Altre categorie molto gettonate sono hi-tech, telefonia e intrattenimento. mentre tra i servizi, invece, a ottenere ottimi risultati tra le vendite sono la prenotazione di viaggi (+74% rispetto al 2015), il trasporto merci e le assicurazioni.

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Sempre secondo il report The Online Purchase Experience China 2016, elaborato da Contactlab ed Exane BNP Paribas, quando i cinesi acquistano online danno moltissima importanza all’autenticità del prodotto (caratteristica che permette una più semplice fidelizzazione del cliente verso il brand).

«La Cina ha compiuto il salto della quaglia con l’online», racconta Giulio Finzi, responsabile di Netcomm, il consorzio dell’e-commerce italiano: «Non avendo le infrastrutture e le strutture distributive sufficienti a servire i suoi cittadini si è concentrata sul costruirne di nuove, tutte high-tech».

ll risultato di tale sviluppo ha portato aziende come Wechat, JD e Alibaba a diventare leader nei loro settore. Questi portali sono nati come siti di seconda classe rispetto a Facebook (censurato in Cina), Google (parzialmente censurato), eBay o Amazon. Ma nell’ultimo biennio, complice la crisi economica e l’incoraggiamento logistico e fiscale di Pechino, deciso a riequilibrare i redditi generati delle esportazioni con i consumi interni, si sono trasformati in giganti del web, per molti aspetti innovatori e precursori di un futuro commerciale mondiale che nella Cina ha il suo laboratorio. Qui l’ultima rivoluzione è il B2C, business to consumer, ovvero la vendita da commerciante a cliente su Internet.

«Il successo degli scambi tra consumatori hanno favorito la familiarità con il web come luogo di incontro per fare business e facilitato l’esplosione degli scambi tra commercianti e utenti finali», spiega Finzi.

Nonostante la presenza di queste grandi catene distributive, approdare sul mercato cinese risulta ora più facile e immediato di una volta: «Il rischio di vendita è praticamente pari a zero perché la spedizione parte solo dopo che il cliente ha pagato», sottolinea Tommaso Cancellara, direttore generale di Assocalzaturifici. E poi, a seconda della forza economica della singola azienda, un operatore può farsi carico della logistica, della raccolta del prodotto nella fabbrica italiana, della spedizione in Cina, dello sdoganamento e della distribuzione finale.

Davanti a queste opportunità di business, gli italiani sembrano ancora una volta impreparati. Il numero delle nostre aziende che ha saputo sfruttare i vantaggi dell’online è ancora troppo contenuto. «Il 30 per cento dei prodotti scambiati sul web è francese, il 30 per cento tedesco, il 20 inglese e solo il 4 per cento italiano». Tra le 750 mila europee, soltanto 30 mila imprese fanno e-commerce. E questo nonostante la grande richiesta del prodotti italiani sul mercato.

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