Dall’indagine coordinata dalla Gfk Eurisko emerge come i cittadini siano sempre più disposti ad affidare la propria salute ai social media. Specialmente nei paesi anglosassoni, per ospedali, istituzioni sanitarie e associazioni di pazienti è ormai consuetudine offrire gratuitamente pareri e consigli via social in modo da permettere un servizio più rapido e immediato. E il grande successo di questa tendenza è dimostrato proprio dai numeri raccolti sul rapporto cittadino-web-salute: dai risultati ottenuti sappiamo, infatti, che sono già 11.5 milioni gli italiani che utilizzano abitualmente la rete (il 42% degli adulti) per cercare informazioni su patologie, cure e consigli. In questa speciale classifica delle fonti più utilizzate, internet e i social media si collocano in terza posizione, subito dopo il medico di famiglia e lo specialista.
Che l’informazione sanitaria debba passare anche attraverso i social non lo dicono solo i numeri, ma anche diversi enti autorevoli come l’Organizzazione mondiale della Sanità e lo stesso ministero della Salute che, per l’occasione, ha stilato delle specifiche linee guida da seguire per non commettere dannose valutazioni.
In questo nuovo contesto, un’indagine del Censis ha classificato i social più utilizzati in base alle preferenze delle italiani: secondo il report stilato, 2 italiani su 3 usano Facebook, il 47% usa YouTube, mentre gli iscritti a Instagram arrivano al 17%.
Ma i social media rappresentano davvero uno strumento così efficace se si parla di salute e malattie? Per come sono strutturati, il rischio più grande per gli utenti è la confirmation bias, quel meccanismo in base al quale siamo portati a leggere e a credere a quei “post” o ai quei “tweet” che confermano le nostre convinzioni già consolidate.
In proporzione, coloro che rientrano in questa categoria sono solo una piccola minoranza, spesso però molto attiva. Per evitare questi casi, una comunicazione efficace sui social dovrebbe, pertanto, essere supportata con specifici argomenti sanitari da un’informazione ineccepibile dal punto di vista scientifico e del linguaggio.
Il Dipartimento PolComIng dell’Università di Sassari ha stimato la presenza online delle aziende sanitarie in Italia, riscontrando parecchi risultati negativi e molta arretratezza. Dai risultati ottenuti emerge che solo il 53% delle Asst (Aziende socio sanitarie territoriali) gestisce una piattaforma social media, con una certa preferenza per YouTube (circa il 50%). E nonostante una crescita costante rilevata negli ultimi due anni – nel 2013 erano il 36% di quelle italiane – la pecca dei canali social di questi enti rimane spesso il proprio target di riferimento: i contenuti proposti sono ancora troppo spesso rivolti solamente a una stretta cerchia di colleghi e utilizzati come finestra per promuovere servizi sanitari o informazioni “amministrative” (comunicati stampa, circolari, bandi). Attività come la promozione della salute e la prevenzione delle malattie vengono poco sponsorizzate, sottovalutando qualsiasi forma di coinvolgimento nei confronti dei pazienti.
Eppure di esempi positivi, anche da emulare, ce ne sono molti (soprattutto nei paesi UK). Migliaia di ospedali usano i canali social per interagire con il pubblico, soprattutto per attivare programmi di promozione della salute e campagne di prevenzione, per informare in modo attivo e partecipativo i cittadini/pazienti. Tra le strutture più attive in campo online, troviamo Oms, i Cdc di Atlanta e il National Cancer Institute con diverse decine di profili in gestione, ognuno rivolto a una specifica categoria di utenti (cittadini, pazienti, ricercatori, operatori sanitari, giornalisti) e patologia.