In America l’hanno chiamata l’Apocalisse dei retailer. La crisi degli store fisici sembra colpire indistintamente piccole e grandi marche senza che queste riescano a contrastarla.
Solo negli Stati Uniti sono già tre mila le grandi aziende che hanno cessato la propria attività, e si prevede che entro l’anno altri tre mila e cinquecento store chiuderanno i battenti. I motivi sembrano essere molti e non semplici da affrontare da parte delle aziende che hanno investito molto in espansione fisica precedentemente al boom del mercato digitale. Una riformulazione delle proprie strategie aziendali necessaria, ma che richiede uno sforzo economico e di ristrutturazione aziendale non indifferente. La concorrenza, specie quella digitale, impone ai brand di fascia medio alta di ricalcolare le proprie strategie commerciali per non essere tagliati completamente fuori dal mercato.
La corsa al digitale
Aveva già fatto molto scalpore la notizia della chiusura in gennaio dello storico marchio di moda californiano American Apparel (successivamente acquistato da un gruppo canadese per appena 88 milioni di dollari) che negli anni duemila aveva lanciato negli Stati Uniti un rinnovamento del codice stilistico dei giovani e che oggi vede tutti i 120 store sul suolo americano inattivi.
Altri invece, come Sears o J.C. Penney hanno deciso di ridurre drasticamente i propri punti vendita considerati poco redditizi per investire nel digitale. La Bebe, prima ancora di essere investita dall’uragano delle chiusure, ha pensato bene di anticipare i tempi: il noto marchio americano dell’abbigliamento femminile chiuderà tutti quanti i 170 store di proprietà e ha deciso di lanciarsi completamente nel commercio digitale.
Il calo dei centri commerciali
La crisi ha colpito un po’ tutti gli store fisici, in America così come in Europa, ma in particolar modo i punti vendita dei brand più costosi, non riuscendo a fare i conti con un commercio (quello digitale) che consente di acquistare prodotti a prezzi inferiori. La digitalizzazione ha generato una nuova generazione di acquirenti maggiormente consapevoli dei loro acquisti, informati sulle possibilità di accedere a prezzi più vantaggiosi e interessati al confronto diretto con cataloghi pressoché sconfinati.
Tra il 2010 e il 2013 i centri commerciali hanno visto ridurre l’afflusso anche fino al 50%, portando aziende come Gamestop a decidere di chiudere ben 150 punti vendita. Il modello Amazon ha sicuramente influito pesantemente, specie nel settore dei prodotti tecnologici ed elettronici. l’investimento nel digitale è fondamentale per mantenere il volume delle vendite constante.
Le tendenze di consumo
Gli esperti del settore indicano come la spesa destinata all’abbigliamento abbia raggiunto oggi i livelli storicamente più bassi. Un dato che spiega bene come i giovani preferiscano spendere in altri beni di consumo (tra cui la tecnologia). È fondamentale in questo senso mantenere i prezzi in linea con le tendenze lowbudget.
Altro punto fondamentale è la ricerca stilistica. Spesso mancano gli elementi distintivi che rendono riconoscibile la produzione di un determinato brand, contrariamente alla tendenza del mercato, focalizzata sulla ricerca di una propria identità estetica.
Maggiore flessibilità
Dal punto di vista produttivo ci sono dei tempi tecnici da rispettare, per cui le collezioni stagionali vengono studiate, messe in produzione e successivamente esposte nei punti vendita. Un processo lento che necessita mesi di lavorazione e che può essere giustificato solamente con una produzione in grande scala dei capi di abbigliamento. Questo approccio produttivo determina un elevato rischio economico, in quanto aumenta l’esposizione dei brand nel caso in cui il volume dei capi invenduti fosse troppo grande.
Quello che serve sono catene produttive più veloci e flessibili, in grado di fornire gli store costantemente, in maniera rapida, ma senza il rischio di enormi produzioni rimaste invendute nei magazzini. Questo metodo consente inoltre ai brand di rispondere in maniera pronta ai cambiamenti di tendenza, potendo aggiustare il proprio processo creativo costantemente, a differenza di quanto avverrebbe con il processo classico. Un modello chiamato fast fashion.
Consumatori esigenti
A complicare ulteriormente il quadro c’è il fatto che i consumatori di oggi sono molto esigenti non solo sul prodotto, ma anche sul processo produttivo, le condizioni di acquisto, la vastità dell’assortimento, con gusti continuamente in mutamento e alla ricerca spasmodica della convenienza. Fare i conti con i clienti odierni non è un’impresa semplice.
E poi c’è Amazon, con i suoi cataloghi sterminati e le condizioni d’acquisto impareggiabili che costituisce da solo il 50% della crescita dell’e-commerce a livello globale. Competere con il colosso è quasi impossibile, anche se la sua offerta pressoché illimitata viene spesso percepita da parte dei consumatori spersonalizzante, preferendo in alcuni casi i cataloghi più ridotti e distintivi di altri e-commerce.
La situazione in Italia
Sicuramente la situazione nel nostro pese non è ancora paragonabile a quella degli Stati Uniti, maggiormente colpiti dall’ondata travolgente del commercio digitale. In Italia c’è stato un calo delle vendite che ha colpito soprattutto le piccole attività, mentre i centri commerciali non sembrano avere accusato il colpo, anzi nel 2017 ne sono stati aperti di nuovi.
Tra le piccole attività il settore maggiormente colpito è stato quello dei piccoli commercianti del settore abbigliamento (-20%), assaliti dalla concorrenza spietata delle grandi catene, seguiti da orefici, macellerie, profumerie e librerie (-17%).
I brand del futuro
Secondo molti la soluzione a questo tracollo finanziario delle piccole e grandi attività può garantirla solamente il commercio digitale. Sicuramente è la condicio sine qua non indispensabile per il futuro di qualsiasi azienda commerciale, ma da sola non può bastare: bisogna concepire un nuovo modo di fare attività, con processi produttivi che garantiscano velocità di fornitura, flessibilità nei modelli produttivi e una maggiore varietà della propria offerta.
Essere una piccola attività oggi è uno svantaggio che può essere colmato solamente attraverso la dinamicità, con la prontezza al rinnovamento costante che il mondo del commercio odierno ci impone. Un tendenza che ci mette di fronte ad una scelta: evolversi o estinguersi.