BREAKING2, Qualcosa di più di un’idea di marketing?

Just do it. Il superamento constante del limite, il progresso, lo studio e la ricerca. La voglia di dimostrare che non esiste record che non si possa infrangere, impresa che non si possa compiere. C’era tutto questo (e tanta pubblicità) dietro l’evento Nike Breaking2 del 6 maggio scorso. Ma andiamo con calma.

LA SFIDA

L’obiettivo era tanto semplice quanto ambizioso: compiere una maratona abbattendo il muro dei 120 minuti, con uno scarto di oltre i due minuti rispetto l’ultimo record che risale a Berlino 2014, di Denis Kimetto. Allora il campione keniota concluse la gara in 2 ore, 2 minuti e 57 secondi. Record da allora mai superato.

 

LA PREPARAZIONE

Nike ha lavorato con studiosi ed esperti di qualsiasi settore per trovare la formula esatta e riuscire nell’impresa. Inutile dire che per l’occasione sono stati studiati e pensati (e infine messi in commercio) nuovi articoli sportivi ideati per far rendere al massimo gli atleti nelle loro prestazioni. Ogni atleta inoltre è stato seguito nelle proprie attività per sette mesi, dalla dieta agli esercizi, dalla preparazione mentale a quella fisica.

 

GLI ATLETI

Quando si pensa alle grandi maratone, come quella di New York, vengono subito in mente le folle oceaniche che allo start scattano in massa come uno sciame di mosche sull’asfalto. Ma Nike ha pensato di adottare uno stile differente, sostituendo la grandi folle con un numero ristretto di corridori, precisamente 3 che, nemmeno a dirlo, sono tra i più veloci maratoneti al mondo: Lelisa Desisa dall’Etiopia, Eliud Kipchoge dal Kenya e Zersenay Tadese dall’Eritrea. Ogni atleta con la sua storia, con la sua specificità, con i suoi successi clamorosi alle spalle.

 

IL LUOGO

Impossibile credere di poter battere un Record come quello del 2014, o addirittura scendere sotto il muro delle 2 ore, senza condizioni di corsa praticamente perfette. Gli esperti Nike, dopo un’attenta selezione, hanno trovato il posto ideale: l’Autodromo nazionale di Monza. Innanzitutto il percorso si sviluppa totalmente in piano e l’asfalto degli autodromi consentono un’omogeneità del percorso. Ma sono le condizioni climatiche che hanno avuto la meglio sulla scelta. A inizio maggio le temperature sulla pista si aggirano attorno ai 12°C e il cielo, spesso coperto, consente ai corridori di soffrire poco l’eccessivo soleggiamento.

 

L’OPINIONE PUBBLICA

L’evento ha offerto più di una chiave di lettura. Per molti si è trattato di una vera e propria sperimentazione scientifica sui limiti e le possibilità del copro umano, per altri una prova sportiva estremamente misurata e pionieristica. Il problema più rilevante per molti, nelle loro considerazioni più etiche che sportive, è stato il nome dietro a tutto l’evento. I più moderati hanno esclamato “è solo marketing”, altri sono arrivati anche a toni denigratori, non solo per l’organizzazione dell’evento, ma anche nei confronti degli stessi corridori.

 

Siamo passati da “Just do it” a “Do more”. Questo è il passaggio a un epoca successiva (non solo in campo sportivo) che forse in molti non riescono a cogliere”, così ha commentato l’alpinista Emilio Previtali in un post sulla sua pagina facebook esprimendo le sue considerazioni sull’evento, proseguendo “La critica principale che ho colto su questo progetto è riassunta nella frase: “non è sport”. Kipchoge, Tadese e Desisa hanno corso con le loro gambe mica in groppa a qualcuno quindi mi chiedo a questo punto che cosa è lo sport, per certi, ma a parte questo a me viene il dubbio che tutta questa ostilità che ho visto in certi casi sconfinare nel disprezzo dica una cosa soltanto: che questa è la strada giusta.

 

PERCHÉ BISOGNEREBBE IMPARARE DA NIKE

Le parole di Previtali sembrano rendere una buona sintesi su quello che è stato l’evento, della sua anima sportiva e delle critiche che gli hanno gravitato attorno. Nonostante il muro dei 120 minuti non sia stato infranto per pochi secondi (Kipchoge ha concluso la gara in 2 ore, 0 minuti, 25 secondi), l’evento ha ricevuto una grande risonanza. Innanzitutto Nike ha potuto far forza su una delle leve più importanti per creare un legame ben saldo con il proprio pubblico di riferimento: la leva emotiva. L’entusiasmo del mondo sportivo, anche quello non propriamente legato all’atletica, ha reso Nike, in riferimento all’evento, non più solo un brand che commercializza articoli sportivi, ma innalzandosi a simbolo di innovazione, sperimentazione e studio sulle prestazioni umane. Certo che Nike ha potuto impiegare risorse finanziarie non irrilevanti, ma anche nel piccolo delle attività più modeste è bene imparare che investire su attività non direttamente connesse alla promozione del proprio brand, ma che accrescano la reputazione dell’azienda all’interno del proprio ambito, può avere risvolti importanti.

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