Com’è cambiato il modo di creare musica nell’era digitale

È ormai noto come il passaggio dai dispositivi analogici a quelli digitali abbia cambiato radicalmente il mercato della musica, ma questa migrazione ha comportato cambiamenti significativi anche nel processo creativo musicale.

I cambiamenti legati al passaggio generazionale fanno parte del normale divenire della musica, ma quello che è cambiato oltre allo stile e la generazione è il modo stesso di concepire il formato canzone, una rivoluzione paragonabile solamente con l’avvento della musica pop a cavallo tra anni ‘50 e ‘60.

Dall’acquisto alle views

Il cambiamento più significativo è stato quello legato al superamento dell’acquisto del prodotto musicale. Se in un primo momento questo ha portato ad una crisi generale del mondo della musica (basato molto sui ricavati della vendita dei dischi), il crollo delle vendite ha trasformato il web in un vero e proprio campo di battaglia, in cui la sfida vera è quella per accumulare visualizzazioni, la vera moneta sonante della musica 2.0.

Non si considerano più le vendite di un disco, ma le views su YouTube, Spotify o iTunes. Emblematico è il caso di Francesco Gabbani, vincitore dell’ultimo Festival di Sanremo, che con il brano vincente “Occidentali’s Karma” ha raggiunto quota 130milioni di visualizzazioni video su YouTube, cifre nemmeno lontanamente paragonabili alle 50mila copie vendute del disco.

Dalla canzone allo slogan

A livello compositivo le strutture dei brani hanno subito dei tagli vistosi, eliminando parti “superflue” che non servono allo scopo di ingaggiare un nuovo ascoltatore e imbrigliarlo nella rete sonora. Ed è cosi quindi che sono praticamente spariti gli intro. Hubert Léveillé Gauvin, dottorando in Teoria Musicale, ha calcolato che in media gli intro musicali si sono ridotti dai 20 secondi di fine anni 80, agli appena 5 di oggi.

I ritornelli, parte essenziale nel processo di engagment musicale, arrivano dopo appena 4 o 5 battute. Sono sempre più comuni i casi in cui il ritornello anticipa la strofa, cambiando la struttura del brano in ritornello-strofa-ritornello. I tempi (bpm) sono aumentati e le ballate classiche sono quasi scomparse.

Dal titolo allo spot

Parola d’ordine smart e i titoli si sono trasformati in spot corti e ficcanti, i brani in generale non superano la media dei 3 minuti e 15 secondi. I “Radio Edit”, più conformi alle regole del web piuttosto che a quelle della radio tradizionale, impongono la versione ridotta per lo streaming dei brani, ed evitare così che gli ascoltatori “skippino” il pezzo.

Dalla dinamica al muro di suono

Prima dell’avvento di Internet era più comune trovare in classifica canzoni che cambiavano aspetto durante la riproduzione, che catturavano per la loro dinamicità, in cui le parti vocali si alternavano agli assoli di chitarra, ai feel di batteria, il tutto mescolato in quadri musicali dalle tinte artistiche sfumate.

Oggi tutto questo è sparito e le canzoni sono diventate dei muri di suono in cui il gancio musicale è dato dall’impatto sonoro e dall’immediatezza. Sono spariti assoli di chitarra, di tastiera e tutti gli elementi che toglievano compattezza al formato canzone e che possono distrarre gli ascoltatori dal memorizzare il brano nel suo essere elemento unico e omogeneo.

La musica di domani

Tutto quanto implica un investimento al ribasso sulla dinamicità compositiva musicale, al fine di mantenere gli ascoltatori sul pezzo e fornire un prodotto più immediato possibile e alla portata di tutti. La compressione operata sul suono generale del pezzo consente una qualità sufficiente per la riproduzione su qualsiasi dispositivo, anche il più scadente.

L’originalità degli arrangiamenti: è sempre più raro trovare strumenti tradizionali nei brani moderni. Qualcuno ipotizza che potrebbero scomparire quasi completamente alcuni di essi dalle canzoni pop entro qualche decennio per lasciare spazio totalmente all’elettronica. Uno scenario estremo ma forse realizzabile.

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